La Canottieri Trieste a.s.d., fondata da Camillo Picciola nel 1896 con il nome “Rowing Club Triestino”, è affiliata alla F.I.C. – Federazione Italiana Canottaggio ed al CONI. Premiata con la Stella d’Oro al Merito Sportivo su proposta della Federazione Italiana Canottaggio, fa parte del ristretto gruppo delle società sportive italiane ultracentenarie ed è Socio Fondatore dell’ UNASCI, Unione Nazionale Associazioni Sportive Centenarie d’Italia. Fin dalla sua fondazione la Società ha sede sul Pontile Istria, che si estende nella Sacchetta, il bacino acqueo nel pieno centro cittadino ora completamente dedicato alle attività sportive ed alla nautica. Camillo Picciola fu l’atleta più forte e completo del canottaggio ottocentesco triestino. Nessuno meglio di lui riuscì a raggiungere tanti successi vogando sia da solo che nei canotti a due o quattro remi. Cominciò a distinguersi come prodiere e timoniere nello storico club Genova dei fratelli Ghezzo, poi fu il capovoga dell’invincibile armo dell’Unione Ginnastica tra il 1890 e il 1892, ed infine, come singolista nel vecchio Saturnia dell’amico Marcovich, vinse per tre anni consecutivi (1894‑1896) il campionato dell’Adriatico in skiff. Fu anche pioniere del turismo nautico su lunghe distanze, compiendo memorabili raids nel golfo su canotti di piccole dimensioni. Egli era giunto all’esercizio agonistico del remo in un momento cruciale per l’evoluzione di questo sport, quando il tecnicismo imposto dalla comparsa delle imbarcazioni da corsa a sedili mobili stava trasformando lo stile di voga sinora praticato (“retralmente” pendolare).
I canottieri ginnasti di allora, vogatori di pura forza o quasi, trovavano seri problemi di adattamento nelle nuove barche. I canoni dinamici e d’equilibrio richiesti dal «leg work» (lavoro delle gambe) non erano sempre accettabili per i giovani dalle potenti braccia, appena usciti dall’era dei pesanti canotti a sedili fissi (i memorabili «scappavia»). Fervevano le polemiche in fatto di stili e di barche, anche perché la forza muscolare sembrava ripagare sempre. E uomini dai mezzi fisici eccezionali, ma non vogatori ortodossi, come Risegari, Haymann, Maraspin, Deperis ed altri lo stavano dimostrando.Giovane appassionato, ma molto riflessivo, Picciola comprese presto che per vogare bene sugli «sliding seats» la sola forza non bastava. Ci voleva anche coordinazione, leggerezza, elasticità, specialmente nell’avanzamento di quelle cigolanti slitte che erano i primi carrelli applicati sui canotti da regata.La sua maturazione tecnica fu rapida e progressiva. E vi giunse anche attraverso lo studio della letteratura specializzata (Woodgate e Silberer), assieme ai consoci Giovanni Dapaul (autore costui d’una Guida del canottiere) ed Alessandro Tribel, il compagno preferito nel pair‑oar (il due di punta con timoniere). Ma egli stabilì anche contatti coi canottieri più avanzati del campo tedesco: dal collega del Lloyd, Enrico Eberhardp agli amici dell’Adria, come Pollack, Otto Kesel e Andrea Ganzoni, traendone preziosi insegnamenti, e sollevando le critiche dei connazionali.
Allorché il gran maestro del «rowing» viennese, Viktor Silberer, vide l’atleta triestino vogare a Praga contro l’asso boemo Kejr (1894), rimase stupito della sua vogata, convinto com’era che sull’Adriatico si vogasse male. Ed in effetti il «Doktor» non aveva tutti i torti: l’ipoteca della vogata di forza peserà a lungo su tutti i canottieri del Litorale. Ancora nel 1895, quando l’allenatore francese Alexandre Lein venne a preparare i vogatori dell’Adria, il suo celebre ammonimento «Ne brutalisez pas le bateau!», venne interpretato come la ricerca d’una finezza, poco conciliabile col desiderio di esprimere con i remi tutta l’energia che animava i regatanti. Bisogna anche dire che nelle società tedesche si vogava altrimenti che in quelle italiane, ed in quest’ultime non si accettavano volentieri lezioni dai «teutonici», anzi si ostentava disinteresse nei loro riguardi. Ma la tecnica di alcuni di costoro, che avevano conosciuto persino gli «outriggers» sui laghi della Carinzia, era più moderna di quella degli italiani. E Picciola su questo argomento non ebbe pregiudizi. Pur essendo un patriota convinto, non disdegnò di scendere in barca con quegli avversari nazionali che stimava e rispettava. Fu grazie al lavoro svolto con essi che egli mise a punto quella splendida vogata di coppia, che gli permise di dominare nel singolo.
All’Unione Ginnastica, invece, nemmeno l’istruttore Depaul, per sua stessa ammissione, aveva mai messo piede in uno sculler. Cosa che Picciola giudicava sbagliata considerando lo «sculling» la vera espressione del talento remiero. Ma il suo pragmatismo sportivo non era da tutti approvato. La durezza del suo carattere, il suo palese disprezzo per l’ostracismo nei riguardi degli stranieri, e le critiche che egli non lesinava ai capifila liberalnazionali, gli alienarono le simpatie di alcuni ambienti italiani, e soprattutto della cripto‑massonica Società delle Regate. Uscirà anche dal Saturnia, quando all’avvocato Marcovich subentrerà in presidenza Cesare Cambiagio, un uomo con cui Picciola non poteva intendersi (1896). Ed egli venne allora a realizzare,un progetto che coltivava da tempo: costituire un circolo nautico formato da giovani alieni da dogmatismi e settarismi intolleranti, ma sempre convinti di agire al servizio di un ideale più alto, con serietà, dignità e perseveranza nell’impegno sportivo, pur nell’orgoglio di sentirsi italiani. Trasse a sé il fiore della gioventù remiera di allora, senza risonanze propagandistiche del suo Club, onde permettervi l’associazione anche ai giovani di sentimenti italiani, che per motivi professionali o familiari non potevano entrare nelle società radicali. E cosi il Rowing Club Triestino svolse un’opera oscura e preziosa per la causa nazionale, ispirato dalla saggezza del suo fondatore. Fu una società guidata al suo sorgere da un uomo che un cronista definirà «serio, inflessibile nella disciplina, freddo e sempre presente a se stesso», così come occorreva per affrontare a viso aperto gli avversari più agguerriti sul mare.
Articolo di FLAVIO BENUSSI tratto da “Centenario 1896 -1996 Canottieri Trieste”
Il gran pavese sventola sulla Canottieri Trieste e celebra il 13 giugno 1996 il centesimo anniversario della sua fondazione. Penso che il modo migliore per festeggiare questo anniversario sia il ricordare brevemente i momenti più significativi della Società nel suo affermarsi come struttura esemplare nello sport e nella vita cittadina. Sono cent’anni di attività remiera operosamente trascorsi nella conquista di campionati mondiali e nazionali, nel raggiungimento di primati attraverso innumerevoli raids impegnativi ed ardimentosi. E’ la storia di cinque generazioni di vogatori che hanno rinvigorito il corpo e lo spirito e temprato il carattere sulle fragili imbarcazioni che hanno arricchito il parco natante del sodalizio. La Società si chiamò Rowing Club Triestino, ma di straniero ebbe in quel tempo soltanto il nome, perché l’impegno tramandato dai fondatori fu quello di cambiarlo quando Trieste fosse diventata anche politicamente italiana, impegno che è stato mantenuto ‑ seppure con un po’ di ritardo ‑ quando fu modificata la ragione sociale in quella di Canottieri Trieste così, che anche la nostra città poté contare, come quasi tutte le maggiori città italiane, una società remiera che si fregiava del suo nome. Ebbe come primo presidente Camillo Picciola, che, oltre ad aver ideato e realizzato con fervido spirito di iniziativa un circolo di attività remiera, lasciò anche in eredità una tradizione patriottica, il culto dell’Italia, silenziosamente custodito negli anni della sottomissione austriaca, eroicamente praticato allo scoppio della prima guerra di redenzione.
Furono ammessi come soci, «solo uomini di provata fede italica» ed altre persone che non volevano associarsi a società già esistenti di diversa nazionalità. Lo Statuto della Società, volontariamente asettico, ebbe il benestare dalla Direzione della polizia austriaca il 13 giugno 1896, con quella denominazione Rowing Club Triestino che ricalcava il nome del Rowing Club Italiano divenuto successivamente Federazione Italiana Canottaggio. Ci furono invece delle difficoltà per l’approvazione della bandiera sociale: il dardo rosso in campo nero, infatti, suscitava nella polizia austriaca il sospetto di un simbolo di ribellione ‑ come in effetti era ‑ e voleva significare il bagliore dell’italianità nel periodo oscuro della dominazione straniera. Tuttavia il presidente Picciola aggirò l’ostacolo e la presentò come una bandiera vista a Praga durante un incontro remiero e avrebbe dovuto simboleggiare la velocità luminosa che lasciava dico di sé il buio. E finalmente la bandiera venne approvata. La prima sede della Società fu un trabaccolo ormeggiato al molo della Lanterna; ottenuta in seguito la concessione di uno spiazzo sul molo stesso, la sede fu costruita in muratura. Era un capannone a 2 piani: al primo piano lo spogliatoio con «60 cassetti» e due stanzini uno per le riunioni della direzione ed uno per il custode, al pianterreno il magazzino per le imbarcazioni ed un ripostiglio‑doccia. Il modestissimo parco natante allora constava di 3 imbarcazioni: una yole a quattro vogatori «America», una yole a 2 vogatori «Europa» ed uno skuller ad un vogatore «Asia». Le imbarcazioni venivano ammarate ed arripate con un sistema di gradoni di legno sostenuti da mensole di ferro.
L’inaugurazione della sede avvenne il 13 giugno 1897. Durante la presidenza Picciola alcuni soci migrarono a Barcola dove, assieme ad altri, fondarono la «Canottieri e Nettuno». Nel 1908 le autorità austriache ritirarono la concessione di occupazione del suolo pubblico: perciò l’assemblea dei soci decise la costruzione di un pontone da attraccare al molo Sartorio. Il progetto fu elaborato dall’allora presidente ing. Andrea Ghira, che nel frattempo era succeduto a Camillo Picciola acclamato Presidente onorario, ed il 4 settembre 1909 la nuova canottiera galleggiante proveniente dal Cantiere Marco V. Martinolich di Lussino raggiunse la sua sede in Sacchetta al traino di un rimorchiatore della ditta Tripcovich.
Terzo presidente fu dal 1912 al 1920 Mario Anninger: era il difficile periodo della prima guerra mondiale. Durante il conflitto, dei 102 soci, 31 si arruolarono volontari nell’esercito italiano e 7 morirono in azioni di guerra per la redenzione di Trieste. Sono i soci onorari Bernardo Benussi, Guido Brunner, Fabio Carniel, Gino Costantini, Roberto Kraljevich Visconti, Carlo Marconetti e Giuseppe Sillani, i cui nomi sono scolpiti nel bronzo a ricordo del loro sacrificio accanto al bollettino della vittoria, nella sede di questa canottiera, che ne tramanda il fiero e nobile insegnamento alle future generazioni. Nel 1920 venne eletto alla carica di presidente, che resse per ben 55 anni, Giorgio Amodeo. Durante questo lungo periodo il vecchio Rowing Club Triestino divenne Canottieri Trieste (1935). Il 10 giugno 1945 dopo più di un mese di occupazione jugoslava, giunsero a Trieste gli angloamericani il cui aiuto fu determinante quando qualche tempo dopo la canottiera fu occupata da un picchetto di 3 militi jugoslavi e l’accesso precluso. Un capitano neozelandese, vecchio canottiere, che nel frattempo aveva chiesto ed ottenuto di diventare socio, fece in modo, su richiesta del presidente Amodeo, che i militi fossero allontanati e sostituiti da quattro soldati inglesi.
L’attìvità sociale riprese e si arrivò al 13 giugno 1946, cinquantenario della fondazione.Le celebrazioni necessariamente modeste date le condizioni dell’immediato dopoguerra, culminarono in una regata che si tenne a Monfalcone lungo il canale del Brancolo, fra le società di Trieste, Monfalcone e le forze armate alleate, alla presenza del generale Alexander comandante in Italia delle truppe angloamericane. La canottieri Trieste concorse con due imbarcazioni: una “due senza tim “ ed una jole a otto: gli italiani vinsero tutte le prove. La sede galleggiante della Società mostrava oramai i segni del tempo; fu ventilata allora l’idea di costruire un pontile sul quale edificare una sede in muratura. Al progetto, elaborato dal socio Silvio Ernè con la supervisione dell’arch. Umberto Nordio, si associarono le altre tre società della Sacchetta ovvero la Canottieri Adria, la Ginnastica Triestina e la Società Triestina della Vela. Molte furono le vicissitudini per reperire al progetto la somma necessaria la quale aveva come base un generoso ma non certo sufficiente prestito a durata decennale, elargito dai Soci. L’aiuto determinante venne dal colonnello americano Sten capo del Dipartimento Lavori Pubblici del G.M.A., che grande sportivo ed appassionato canottiere, fece ottenere alle Società un prestito a lunga scadenza. A pochi mesi dall’inizio dei lavori di costruzione del pontile, nella notte fra l’1 e il 2 febbraio 1954, a causa di un fortunale di bora di inaudita violenza ( le raffiche raggiunsero i 176 km orari ) si ruppero gli ormeggi della sede galleggiante che cozzando violentemente contro il molo Sartorio riportò una grossa falla e affondò, adagiandosi sul fondo della Sacchetta. La cucina ed il magazzino, con tutte le imbarcazioni, rimasero sott’acqua e fu merito soprattutto dell’abnegazione e del coraggio dei giovani soci se il materiale nautico fu recuperato quasi per intero. Il galleggiante fu demolito e l’attività sociale venne svolta nelle altre società remiere cittadine che tutte avevano offerto ospitalità con encomiabile spirito di solidarietà sportiva.
Finalmente il 22 gennaio 1956 le nuove Sedi delle Società della Sacchetta furono inaugurate con l’intervento di tutte le autorità cittadine; al presidente Giorgio Amodeo toccò l’onore di tenere il discorso inaugurale. Alla fine dell’aprile 1976, al Congresso annuale dei soci, l’avv. Amodeo, presidente da 55 anni espresse il suo desiderio di essere esonerato dall’incarico. Grande fu il rammarico degli intervenuti per questa che fu una decisione irrevocabile, fervidi e corali i ringraziamenti per ciò che egli aveva dato alla società in esperienza, dedizione ed entusiasmo. Fu acclamato all’unanimità Presidente onorario. Subentrò alla guida delle società Gastone Rocco, che aveva già dato il suo contributo all’attività sociale prima come atleta poi, per parecchi anni, come capocanottiere. Come i presidenti che l’avevano preceduto profuse le sue energie perché la Società potesse adeguarsi alle esigenze contingenti aggiornando il materiale nautico, apportando sostanziali migliorie alla sede e cooperando con l’apporto di contributi, oltre che dal C.O.N.I., di enti pubblici e di privati cittadini, al consolidamento del pontile Istria, sul quale poggiano le quattro Società. Dal 1986 per decisione plebiscitaria del congresso ordinario fu aperta una sezione femminile sia per la specialità del canottaggio che per quella della canoa. L’ambiente ad essa riservato, spogliatoio e servizi, fu ricavato nel magazzino imbarcazioni e per le sue ridotte proporzioni fu considerato sufficiente per un numero di allieve non superiore a 10. Nel 1983 alla Canottieri Trieste venne concessa dal C.O.N.I., su proposta della F.I.C., la Stella d’Oro al Merito Sportivo, lusinghiero riconoscimento accolto con grande soddisfazione da tutti i soci. Nel 1989 al presidente Rocco venne richiesto con affettuosa insistenza dalla F.l.C. di ricoprire per la seconda volta la carica di revisore dei conti. Poiché le due cariche erano incompatibili e poiché «ubi major minor cessat» egli rassegnò le dimissioni da presidente confortato dal fatto di continuare ad essere, comunque, utile alla Società. La sua assicurazione in tal senso, che confermava ancora una volta il suo attaccamento, fu sottolineata dalla nomina da parte del congresso generale a Presidente onorario.
Fu allora eletto presidente Enzo Speri che alla fine del primo anno dovette rassegnare le dimissioni e per motivi di lavoro si trasferì a Genova. Dal 1990 guida la Canottieri Trieste Valeriano Pantalisse nella scia della migliore tradizione sia per quel che riguarda le migliorie tecniche ed il comfort della Società, che per lo spirito di dedizione e laboriosità. A lui spettano l’onere e l’onore di organizzare le manifestazioni del centenario. 100 anni di vita hanno un significato se lasciano una traccia e la Canottieri Trieste può dimostrare di aver fatto, maturando un progetto di qualità e quantità di soci atleti e strutture. Innumerevoli sono i Soci che si sono distinti e si distinguono per meriti umani, civili o sportivi ma è un vanto per la Società aver annoverato anche i nomi di Amedeo di Savoia duca d’Aosta e di Gabriele d’Annunzio il quale nel 1922 a Salò, alla Società che partecipava ad una regata, donò una sua fotografia sulla quale aveva vergato di proprio pugno il motto «In silentio et ope fortitudo mea». Nessun’altra espressione avrebbe potuto meglio sintetizzare quelli che sono stati e sono i caratteri peculiari della nostra vita sociale attraverso il tempo. La più memorabile impresa dell’immediato dopoguerra (1918), è svolta, riprendendo le tradizioni del turismo nautico d’anteguerra, dove le scappate a Venezia Lussino e Zara erano all’ordine del giorno.
Memorabile la crociera a remi Trieste – Mantova – Trieste con una yole a quattro e un doppio canoe con timoniere. Questa impresa ebbe imitazioni che per importanza la superarono: la Trieste – Torino ritenuta dai piemontesi irrealizzabile per cui alla nostra «yole a quattro», giunta felicemente a traguardo, sono state tributate accoglienze trionfali; la Torino – Venezia; la Trieste – Lago Maggiore Locarno – Lugano Lago di Como – Adda Trieste; la Trieste – Mantova – Riva del Garda e ritorno; la Trieste – Mantova – Venezia; e in genere il vagabondaggio tra le isole, lungo quasi tutta la costa dalmata fino a Zara. Tra i soci insigniti il più illustre è stato acclamato dal congresso generale socio onorario: Amedeo di Savoia Duca d’Aosta.
Articolo del 1996 di Gastone Rocco, tratto da “Centenario 1896 – 1996 Canottieri Trieste “
Camillo Picciola, fondatore del Rowing Club Triestino nel 1896.
La sede storica della Canottieri Trieste.
Canottieri Trieste a.s.d. – Pontile Istria 4 – Riva Grumula – 34123 Trieste – Tel. e Fax 040 306000 – info@canottieritrieste.it